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Torino, 14/02/2017

Quasi una tonnellata di oro per un valore approssimativo stimato in 27.870.000 euro, e’ stato sequestrato dalla Finanza di Torino a un gruppo criminale che riciclava oro di incerta provenienza ( furti in gioiellerie e negli appartamenti?), e rimesso nel mercato legale.
L’operazione denominata “Melchiorre” e’ ancora in corso e si sta svolgendo con l’impiego di oltre 100 militari, i quali hanno eseguito 11 ordinanze di custodie cautelari in carcere e 50 perquisizioni in diverse regioni d’Italia, in Ungheria e Slovenia.
Sequestrati, inoltre, beni per un valore di circa 9 milioni di euro. Coinvolte in questa faccenda, dai contorni poco chiari, anche due imprese del settore commercio preziosi attive nel Torinese.
I particolari della succitata operazione sono stati forniti dagli inquirenti nel corso di una conferenza stampa, che ha avuto luogo presso la Procura della Repubblica di Torino, alle 12,30 di oggi, alla presenza del Procuratore capo Armando Spataro, a cui hanno preso parte, in teleconferenza da L’Aia, anche i magistrati di “Eurojust” che hanno coordinato l’attivita’ investigativa in piu’ Paesi. Da tale conferenza e’ emerso quanto segue:
Il provvedimento adottato dalla locale Procura della Repubblica, è il frutto di mesi di indagini, intercettazioni, analisi di flussi finanziari, pedinamenti e strumenti di cooperazione internazionale di polizia, che hanno permesso di ricostruire il meccanismo di reimpiego di oro di illecita provenienza. Un ruolo di rilievo in questa faccenda illegale lo hanno avuto i ricettatori di oggetti in oro, provenienti da reati contro il patrimonio, che venivano portati in una fonderia di Torino dove venivano successivamente fusi e trasformati in verghe aurifere. Il prodotto così trasformato veniva venduto, a quotazioni di mercato, a primarie società nazionali operanti nel settore del commercio di oro, previa interposizione fittizia di una società ungherese, il cui titolare era un cittadino italiano, che intratteneva i rapporti commerciali con le società acquirenti nei confronti delle quali si limitava a emettere fatture di vendita, ricevendone i relativi pagamenti mediante bonifici internazionali, dalla cui provvista prelevava il denaro contante che consegnava ai reali proprietari dell’oro ceduto alle primarie società nazionali. In questo modo il metallo prezioso, raccolto illecitamente a Torino e mai uscito dal territorio nazionale, risultava venduto da un operatore estero a una società nazionale, mediante un’operazione di acquisto intracomunitaria. La compravendita documentata era fondamentale per il gruppo perché permetteva di far uscire il denaro contante che sarebbe servito per finanziare i successivi acquisti illeciti di oro. Infatti, il denaro ricevuto con bonifico, a fronte della fattura emessa dalla società ungherese, veniva poi prelevato in contanti dai c/c accesi presso istituti di credito ungheresi, portato materialmente a Torino e consegnato ai reali venditori che lo utilizzavano per pagare in nero sia  fornitori che ricettatori. A mettere in contatto tra loro i riciclatori è stato un procacciatore d’affari di Arezzo, che ne ha coordinato l’attività e, in una seconda fase dell’operazione, ha favorito l’accreditamento della societa’ ungherese presso un’impresa nazionale leader del settore.

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