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Finalmente le pinne degli squali non potranno più essere recise dai loro animali e vendute a peso d’oro sui mercati orientali. Lo stop del cosiddetto “spinnamento” (finning), ovvero il taglio della pinna agli squali quando sono ancora vivi, è diventato ufficialmente un regolamento europeo che impone a tutte le imbarcazioni che pescano nelle acque dell’Unione europea e, a tutte quelle dell’Ue che pescano nel mondo, l’obbligo di sbarcare in porto gli squali pescati con le pinne intatte. Gli Stati membri non saranno quindi più autorizzati a concedere permessi di pesca speciali che autorizzano i loro pescherecci a tagliare le pinne a bordo, per poi gettare le carcasse o il pesce ancora vivo in mare, dove andrebbe incontro ad una morte certa. Con la messa al bando di quelle deroghe si chiude una lunga battaglia per salvare gli squali che ha mobilitato politici, ambientalisti, uomini di cultura e semplici cittadini: sono stati oltre 10.000 solo gli italiani ad aver sottoscritto già nel 2009 la petizione per la loro protezione lanciata dalla coalizione «Alleanza per lo squalo». Senza contare che da anni la crisi spinge i consumatori ad acquistare una fetta di spinarolo, smeriglio, palombo o verdesca, senza sapere di mettere in tavola carne di squalo, di cui alcuni sono minacciati di estinzione. Sono però le pinne a rappresentare la parte più pregiata dell’animale. In Oriente la zuppa di pinne di squalo è considerata una vera e propria prelibatezza, e una pinna di squalo elefante può costare fino a 7.500 euro. La conseguenza è che il più fiero dei predatori, al top della catena alimentare nei mari, è ormai in pericolo in Europa e in tutto il mondo: sono circa 100 milioni quelli che vengono uccisi ogni anno. Un quarto delle specie di squalo e di razza sono a rischio estinzione, avverte uno studio scientifico pubblicato il mese scorso. Lo studio, pubblicato nella rivista Open Access e Life del 21 gennaio, è il risultato della collaborazione tra 300 studiosi di 64 diversi paesi. La tesi dello studio è che la cosiddetta pesca intensiva è la maggiore minaccia per la gran parte delle specie, sottolineando che fino a 73 milioni di squali vengono uccisi ogni anno esclusivamente per le loro pinne. “Le pinne, in particolare, sono diventate uno delle merci più preziose nel mercato del pesce – scrivono gli autori – si stima che ogni anno finiscano sul mercato le pinne di un numero oscillante tra i 26 e i 73 milioni di esemplari, per un valore di 400-550 dollari americani.” La ricerca osserva che le specie più a rischio sono quelle di grande taglia e che frequentano bassi fondali, e che, tra le famiglie di pesci cartilaginei più a rischio, 5 su 7 sono le razze. “Globalmente, il rischio di estinzione per i pesci cartilaginei è sostanzialmente maggiore che per la gran parte dei vertebrati, e solo un terzo delle specie è considerata non a rischio”, concludono gli studiosi. Anche l’India, seppur con ritardo è entrata nell’elenco dei Paesi che hanno aderito al trattato per la pesca sostenibile. In particolare, la Commissione per il tonno dell’oceano indiano (IOTC), voluta fortemente dal WWF, ha avviato l’iter per una gestione sostenibile nelle sue acque. E non è un elemento da sottovalutare, visto che si parla dell’Oceano Indiano, una delle più importanti riserve ittiche del mondo. Le misure per la pesca sostenibile, è bene ricordarlo, sono volte alla tutela degli stock ittici che si stanno riducendo ovunque, ma servono anche a salvare una vasta biodiversità faunistica marina che resta vittima delle pratiche scorrette come la pesca a strascico e di frodo. Sono state adottate anche misure per la gestione dei dispositivi di concentrazione dei pesci (FAD), cioè piattaforme galleggianti ancorate al fondo intorno alle quali si riunisce il pesce. L’accordo è stato trovato dopo l’ultima riunione, svoltasi in Australia, tra i rappresentanti dei Paesi insulari. Alla decisione dell’India sull’adozione di misure sostenibili per la pesca dei tunnidi nell’Oceano Indiano, si sono aggiunte pure le isole Maldive. “Siamo grati a Mauritius e Seychelles – dichiara Hussain R Hassan, Ministro della Pesca e dell’Agricoltura delle Maldive – nonché ai promotori della risoluzione: l’Australia, l’Unione Europea, il Segretariato e, in particolare, l’India per il loro continuo supporto. Le Maldive – continua Hussain – vantano una gestione attenta delle risorse naturali e sono liete di aprire la strada verso la gestione sostenibile della pesca in questo oceano, e ci auguriamo di sviluppare ulteriormente i lavori relativi alle misure di controllo con le altre nazioni dell’Oceano Indiano”. Insieme a questi aspetti è stata fatta anche la proposta di attuare il principio di ‘precauzione’, secondo il quale controlli scientifici avrebbero dovuto regolare di volta in volta la pesca, al fine di salvaguardare alcune specie a rischio come gli squali e i delfini, ma su questo punto ancora non si è trovato un completo accordo.

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