Una violenta lite tra da due gruppi di tifosi, atalantini e interisti, è costata la vita a un ragazzo di 26 anni di Bergamo, ferito a morte da un fendente che non gli ha dato scampo.
Bergamo, 4 maggio 2025 – Il fatto di sangue intorno all’1 di notte tra sabato e domenica, nel corso della quale una lite tra due gruppi di tifosi bergamaschi, uno dell’inter e l’altro dell’Atalanta, nei pressi del locale stadio, sfocia in tragedia: ucciso tifoso atalantino 26enne da un 19enne tifoso dell’Inter.
La vittima
Si tratta di Riccardo Claris, 26enne bergamasco, tifoso atalantino accoltellato a morte nel corso della rissa, per futili motivi, avvenuta in via Ghirardelli, nel Borgo Santa Caterina, in un bar vicino allo stadio.
I soccorsi al giovane accoltellato
Sul posto i carabinieri e l’ambulanza del 118 che ha tentato di rianimare il giovane senza riuscirci in quanto era già deceduto a causa del fendente mortale vibrato dal 19enne interista.
Il ricordo di Riccardo Claris dei tifosi atalantini
I tifosi dell’Atalanta arrivati oggi a Monza per la partita Monza-Atalanta, finita 0-4 in favore della Dea e valida per la 35esima giornata di Serie A, hanno ricordato il tifoso nerazzurro, ucciso dal 19enne interista – anche lui bergamasco – con una coltellata per una lite, nata da una discussione sul calcio, avvenuta il giorno precedente.
La confessione dell’autore del delitto
Il 19enne, autore dell’omicidio ha confessato il delitto ai carabinieri che l’hanno fermato, dichiarando loro di avere agito in difesa del fratello. Intanto è stato trasferito nel carcere di via Gleno, in attesa di conferma dell’arresto da parte del Gip.
La dichiarazione della Sindaca Elena Carnevali sulla morte del giovane Riccardo Claris
“Oggi la nostra comunità è profondamente scossa per la drammatica e tragica vita distrutta di Riccardo che, per futili motivi, è stato ucciso per mano di un ragazzo che per tutta la sua esistenza avrà sulla coscienza la gravità dell’azione compiuta. Non solo da Sindaca, ma anche da genitore, il primo pensiero va alla famiglia Claris, perché non c’è dolore più grande e prova più difficile da sopportare come quella di non avere più un figlio, un fratello. A tutti loro esprimiamo la più sincera vicinanza e il cordoglio di tutta la città. Nessuna parola potrà colmare una perdita così grande, ma il nostro dovere è fare in modo che simili tragedie non si ripetano. Bergamo non è una città violenta e l’episodio di accoltellamento tra giovani avvenuto oggi è un fatto gravissimo, che ci interpella non solo come amministratori, ma come cittadini, genitori, educatori. Non possiamo limitarci all’indignazione momentanea: siamo di fronte a un disagio profondo che attraversa le nuove generazioni e che trova terreno fertile in un contesto sociale sempre più fragile. Questi atti di violenza – continua la sindaca – che si verificano sempre più spesso tra giovani e giovanissimi – ricordiamo i recenti episodi di Torino, Milano, Napoli, Roma, Monreale, oggi anche Castelfranco Veneto – non sono frutto del caso: rivelano solitudini, vuoti educativi, l’incapacità di avere consapevolezza della gravità degli atti nella vita reale. Ci troviamo anche di fronte a una deriva culturale in cui il rispetto personale è legato alla forza e alla capacità di imporsi sugli altri, anche con la violenza. Offese, litigi – spesso banali – vengono vissuti come attacchi alla propria identità, da ‘vendicare’, in una società dove avanza una ‘normalizzazione’ della violenza attraverso i social network che amplificano e diffondono modelli aggressivi; questo contribuisce a una desensibilizzazione alla violenza e a una minore percezione delle conseguenze reali. Come Amministrazione comunale – aggiunge – siamo impegnati a rafforzare la rete educativa e sociale del territorio, ma sappiamo che da soli non possiamo farcela. Siamo convinti che l’antidoto sia un patto educativo vero, condiviso, che coinvolga la società, famiglie, scuole, associazioni, parrocchie, forze dell’ordine, esercenti. Lo studio dei fenomeni del disagio giovanile che abbiamo affidato all’università di Bergamo va in questa direzione. Perché prevenire significa esserci prima, non dopo. Per i nostri ragazzi e ragazze e quelle due famiglie straziate dal dolore e dalla sofferenza,” conclude Elena Carnevali.