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Confiscati beni per oltre 40 milioni di euro, frutto degli investimenti della mafia palermitana in Italia e all’estero.

 

Palermo, 21 dicembre 2018 – Era la mafia corleonese a gestire la distribuzione del gas nel capoluogo siciliano. Ciò è emerso dalle indagini condotte dalla GdF di Palermo che ha eseguito la notifica del provvedimento di confisca, emesso dalla locale Procura della Repubblica e Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di confisca, nei confronti della mafia corleonese che gestiva la società di distribuzione del gas, disposta su numerosi beni mobili e immobili, aziende, conti correnti bancari, contanti e preziosi, in Italia, Spagna e Andorra (EE).

Tale decreto di confisca è stato disposto nei confronti di D’Anna Maria, 72 anni, e delle figlie Brancato Monia, 45 anni, e Brancato Antonella, 36 anni, rispettivamente, vedova e figlie di Brancato Ezio Ruggero Maria, (deceduto nell’anno 2000), ex funzionario della Regione Sicilia fino al 1981, il quale effettuò, nel corso degli anni, investimenti in alcune imprese palermitane, coinvolte, a partire dagli anni ’80, nel complesso processo politico imprenditoriale che portò alla realizzazione della rete di metanizzazione in Sicilia, nonché ai profitti derivanti dalla loro gestione e successiva vendita, avvenuta nel gennaio 2004, a favore della multinazionale spagnola “Gas Natural”, per un valore di oltre 115 milioni di euro, di cui oltre 46 milioni rappresentarono il profitto della cessione delle quote pagato a D’Anna Maria e alle due figlie.

In particolare, Brancato Ezio Ruggero Maria era socio di sei società facenti capo al cosiddetto “Gruppo gas” con sede a Palermo ritenute, come poi accertato dalle indagini eseguite, sotto il controllo dei noti esponenti mafiosi Ciancimino Vito e Provenzano Bernardo.

Le numerose e convergenti testimonianze di collaboratori di giustizia e di atti riguardanti le imprese interessate hanno evidenziato la contiguità dell’ex funzionario regionale e dei suoi eredi a Cosa Nostra, attraverso le partecipazioni dagli stessi detenute nel “Gruppo Gas”.

Gli anzidetti collaboratori di giustizia hanno riferito che il “Gruppo GAS” era un’espressione dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, il quale era – come scrivono i magistrati del capoluogo siciliano – «l’interfaccia dei noti Salvatore Riina e Bernardo Provenzano». In tale ottica, il succitato “Gruppo Gas”, attraverso i sub appalti, concessi ad imprese vicine alla criminalità organizzata, avrebbe interagito con Cosa Nostra in una logica di “reciproco vantaggio”, atteggiandosi come una “impresa collusa mafiosa”, tale da ritenere il condizionamento mafioso esteso all’intera compagine sociale del medesimo “Gruppo Gas”.

La gestione mafiosa di tale gruppo, da parte di D’Anna Maria e della sue figlie, deve considerarsi decisiva affinché alle imprese potesse attribuirsi il valore di vendita poi concordato con gli spagnoli della GAS NATURAL. Analoghe risultanze investigative determinarono il sequestro dei beni di Massimo Ciancimino (figlio di Vito), considerati proventi della cessione delle quote del “Gruppo Gas” intestate al prestanome Lapis Gianni (socio storico di Brancato Ezio), avendo ritenuto che la costituzione e gestione delle società del “Gruppo G.A.S.”, in passato, rappresentò interessi di natura mafiosa.

I proventi della maxi operazione di vendita delle società del Gas sono stati quindi reinvestiti in società, mobilità finanziare, ma soprattutto in immobili di grande pregio a Palermo (fra i quali spiccano un intero palazzo con vista sul teatro Massimo, un attico sul Giardino Inglese, ed altri in via Dante o in zona Notarbartolo); in Sardegna (in Costa Smeralda nella nota Cala del Faro ad Arzachena) ed all’estero. Inoltre il lavoro di ricostruzione dei flussi finanziari ha consentito di individuare il patrimonio della famiglia Brancato in Spagna e quello illecitamente detenuto nel Principato di Andorra, Paese con il quale è stata avviata dallo stesso procuratore capo di Palermo una cooperazione giudiziaria che ha aperto per la prima volta alla collaborazione attiva con l’Italia. Sono stati pertanto rinvenuti, celati nei caveau delle banche pirenaiche, intestati a terze persone e società di comodo, rapporti bancari e cassette di sicurezza che contenevano decine di preziosi monili e migliaia di euro in contanti.

La stima del valore dei beni complessivamente confiscati, allo stato ancora in corso di definizione, ammonta ad oltre 40 milioni di euro e riguarda: 6 aziende commerciali con sede in Italia e Spagna; 5 quote societarie detenute da società italiane; 59 immobili di pregio situati sul territorio Italiano (Sicilia, Sardegna e Costa Smeralda), e spagnolo (Barcellona); 4 autovetture (di cui 3 si trovano in territorio spagnolo); 1 motoveicolo; 118 rapporti finanziari detenuti in Italia, Spagna e Principato di Andorra; crediti vantati nei confronti di persone giuridiche e persone fisiche; denaro in contanti.

Le indagine condotte dal Nucleo di P.E.F. di Palermo in collaborazione con lo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, cui fa riferimento il provvedimento di confisca, rientrano nella strategia adottata dalla Procura della Repubblica di Palermo per rinvenire le ricchezze accumulate dalla mafia corleonese ed i soggetti a questa vicini, facendole così assumere al patrimonio dello Stato.

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