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Attraverso la nuova tecnica HOPE si migliora la sicurezza, i tempi di recupero e la qualità del fegato prima del trapianto.

Tale tecnica è stata introdotta all’ospedale bergamasco grazie al contributo del Corporate Social Responsibility officer di Brembo

 

Bergamo, 13 dicembre 2017

E’ stata presentata oggi una nuova metodica introdotta nelle sale operatorie del Papa Giovanni, con l’intento di assicurare la migliore qualità e funzionalità del fegato da trapiantare. Si tratta di perfusione ipotermica post-SCS, nota in campo medico con la denominazione inglese Hypotermic Oxygenated PErfusion, da cui l’acronimo HOPE (termine inglese per “speranza”). Un nome di buon auspicio per i pazienti in attesa di trapianto di fegato, la cui domanda è di gran lunga superiore alla disponibilità: su cento pazienti in lista, quattro muoiono ogni anno in Italia in attesa dell’intervento.

Grazie al nuovo sistema adottato dallo staff di chirurghi, anestesisti e perfusionisti, l’organo riporta un minor danneggiamento rispetto ai sistemi tradizionali, recuperando anzi parzialmente rispetto ai danni cui si incorre inevitabilmente in fase di conservazione. Una novità pensata per garantire ai pazienti un maggior margine di sicurezza, una ripresa più rapida e pronta del fegato trapiantato e di conseguenza del paziente.

Nello scorso mese di novembre è stato eseguito il primo trapianto grazie alla nuova metodica, denominata perfusione o preservazione dinamica ipotermica post-SCS. La tecnica consiste nella circolazione attiva di una soluzione (perfusione) fredda all’interno dei vasi dell’organo. Questa metodica permette di ripristinare le riserve energetiche dell’organo durante la fase di conservazione, migliorandone la funzionalità post-trapianto. E’ una alternativa più efficace rispetto alla tradizionale conservazione statica dell’organo in ipotermia, più semplice ed economicamente sostenibile ma che si limita a contenere il danno da conservazione senza permettere alcuna riparazione.

«Nonostante la recenti introduzione di farmaci anti epatite C che riducono la necessità di trapianto per questo sottogruppo di pazienti – ha spiegato Michele Colledan, direttore del Dipartimento chirurgico del Papa Giovanni XXIII e responsabile del programma di trapianto del fegato – il fabbisogno di trapianto rimane comunque superiore al numero di organi disponibili. L’adozione di questa metodica – ha proseguito Colledan – permette di trapiantare con sicurezza organi che altrimenti sarebbero da considerare potenzialmente a rischio. Inoltre, assicurando una più pronta ripresa funzionale – ha conlcuso il direttore – permetterà di migliorare i risultati a breve e lungo termine».

In Italia, nel 2016 sono stati eseguiti 1.213 trapianti di fegato in 21 centri. Il tempo di attesa medio a livello nazionale per un paziente in attesa di ricevere un fegato da donatore è di un anno e mezzo. Non tutti i pazienti in lista riescono però ad arrivare al trapianto. Si contano101 pazienti che sono deceduti in lista di attesa nel corso del 2016, su un totale di 2481 pazienti iscritti. La mortalità in lista di attesa per trapianto di fegato è tra le più elevate nell’ambito dei trapianti d’organo in Italia, dopo polmoni e cuore.

In questa corsa contro il tempo, l’Ospedale di Bergamo è pioniere nell’applicazione di tecniche innovative per aumentare la disponibilità degli organi, come la divisione di un fegato per crearne due da trapiantare (split). Anche grazie a questa tecnica, l’equipe di Michele Colledan effettua ogni anno decine di trapianti di fegato, facendo del Papa Giovanni XXIII uno dei centri più attivi in Italia, sempre ai primissimi posti delle classifiche nazionali.

Oggi, trascorsi 20 anni dall’avvio del programma di trapianti di fegato pediatrici iniziato agli Ospedali Riuniti, il nosocomio bergamasco è tra i primi centri in Europa e nel mondo per numero di trapianti di fegato pediatrici eseguiti ogni anno. Qui si effettuano tre trapianti pediatrici di fegato su quattro di tutti quelli eseguiti nei centri della rete del Nord Italian Transplantation program (che comprende, oltre alla Lombardia, anche Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Marche).

Un numero così elevato di trapianti permette di sperimentare e applicare metodiche sempre più innovative. La perfusione ipotermica post-SCS, già in uso nei principali centri trapianto di Europa e Nord America e in alcuni centri italiani, era già stata sperimentata in passato, in pochissimi casi, anche al Papa Giovanni XXIII. I buoni risultati allora ottenuti hanno convinto i medici a ricorrervi in maniera più regolare.

Il circuito di perfusione che rende possibile applicare in sala operatoria questa metodica è stato ultimato anche grazie al sostegno di Brembo, che ha finanziato l’acquisto di alcuni componenti indispensabili per il suo funzionamento, così come avvenuto lo scorso anno per l’attività legata al trapianto di polmoni.

«Per il secondo anno consecutivo abbiamo deciso di sostenere attivamente lo sviluppo di nuove e migliori tecniche per la conservazione degli organi da trapiantare – ha dichiarato Cristina Bombassei, CSR Officer di Brembo – dedicando la somma destinata ai regali aziendali al sostegno della ricerca e a incentivare l’applicazione di metodiche mediche sempre più efficienti e all’avanguardia».

«Questa metodica amplia la possibilità d’azione del nostro Centro trapianti, punto di riferimento in Lombardia e in Italia – ha sottolineato il direttore generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII, Carlo Nicora -. Ridurre i tempi di recupero del paziente in terapia intensiva si traduce per l’ospedale in maggior efficienza. I posti letto che si liberano possono essere riservati ad altri trapianti o ad altri interventi, con un riflesso positivo sulla programmazione e sui tempi di attesa. E’ il risultato dell’impegno dei nostri professionisti e della generosità di Brembo, che ci sostiene da tempo anche in ambito pediatrico».

Un commento di Marco Zambelli, dipart. Chir. Ospedale Papa Giovanni di Bergamo

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